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Una ricercatrice al lavoro presso il Centro Regionale per la Biologia Molecolare a La Loggia, Torino, inaugurato durante la pandemia. L'Italia sta investendo oltre 13 miliardi di Euro in ricerca grazie ai fondi del piano di recupero post-pandemico dell'Unione Europea. Credit: Mauro Ujetto/NurPhoto via Getty Images.

Il piano straordinario di investimenti in ricerca italiano completa un’altra tappa importante con il bando per i partenariati estesi (PE), un programma da 1,6 miliardi di euro che finanzierà almeno 10 grandi consorzi aperti a università, enti di ricerca e industria, su varie discipline.

Questo è il terzo grande bando per la ricerca collaborativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), dopo quelli per i centri nazionali e per gli ecosistemi di innovazione lanciati lo scorso dicembre. La comunità scientifica è impegnata in queste ore a completare la domande di partecipazione al bando finanziamenti, ma intanto c’è chi lamenta la mancanza di meritocrazia nel processo, e di trasparenza nella futura distribuzione dei fondi.

Il bando è stato lanciato a metà marzo, con scadenza 13 maggio. È simile al precedente, ma più orientato alla ricerca di base o alla ricerca applicata con basso livello di maturità tecnologica. Inoltre, copre una gamma più ampia di argomenti - tra gli altri Intelligenza Artificial, energia, neuroscienze, medicina di precisione, scienza spaziale, economia e patrimonio culturale¬. Si rivolge quindi ¬potenzialmente all'intera comunità di ricerca, piuttosto che a settori specifici. Le proposte devono avere una struttura "hub & spoke", con un'istituzione incaricata di coordinare fino a 15 partner in tutto il Paese. Ogni partenariato selezionato riceverà tra gli 80 e i 60 milioni di euro per finanziare attività di ricerca, dottorati, spin-off e attività di formazione per 3 anni, coinvolgendo fino a 350 ricercatori.

Prima del lancio del bando, Elena Cattaneo, senatrice a vita e docente all'Università degli Studi di Milano, aveva denunciato in un articolo il fatto che i gruppi di ricerca fossero impegnati già da mesi nella definizione di accordi a porte chiuse, con l'obiettivo di "concentrare tutte le forze in cordate tra enti che puntino a presentare una sola proposta per ciascuna tematica, con l’obiettivo di non “pestarsi i piedi” a vicenda e di mantenere il controllo sui progetti che saranno finanziati […] uno schiaffo a trasparenza e al merito". E vedeva il rischio di una assenza di competizione tra diversi consorzi sullo stesso tema, come avvenuto nei bandi precedenti.

Anche diversi scienziati contattati da Nature Italy lamentano la scarsa discussione pubblica che ha preceduto il bando, e vedono il rischio di una divisione poco chiara delle risorse, priva di una visione a lungo termine.

"La partecipazione al bando è stata gestita a livello centrale dalla dirigenza delle università [piuttosto che dai singoli ricercatori], quindi con qualità delle proposte e trasparenza delle procedure molto variabile", afferma Claudio Tripodo, professore dell'Università di Palermo, scettico sul fatto che questi bandi possano generare nuove linee di ricerca sinergiche.

"Le regole erano note mesi prima [dei bandi veri e propri]", conferma una ricercatrice e borsista del Consiglio europeo della ricerca (ERC), che ha chiesto di rimanere anonima perché coinvolta nella presentazione di una proposta e per timore di ripercussioni nel suo istituto. "La politica universitaria ha prevalso sul merito e sulla competitività nella formazione dei gruppi di ricerca”.

Il reclutamento di giovani scienziati è uno dei requisiti del bando. Ma poiché non è chiaro cosa succederà dopo i tre anni coperti dal finanziamento di tre anni, "finirà probabilmente per ridursi al coinvolgimento di altri ricercatori precari senza prospettive a lungo termine", afferma un altro ricercatore dell'Università di Milano che ha chiesto di rimanere anonimo per motivi analoghi, e che lamenta il fatto che le linee guida del bando si concentrino più sugli aspetti burocratici che su quelli scientifici.

Anche l'eccezionale quantità di finanziamenti, paradossalmente, suscita qualche preoccupazione. "È troppo, tutto insieme, sul fragile corpo delle università", dice Gianfranco Viesti, professore di economia applicata all'Università di Bari. "Il carico amministrativo aumenterà in modo esponenziale, ma l’organico delle università resta sottodimensionato". Le linee guida richiedono una relazione amministrativa completa ogni due mesi, che Viesti e altri definiscono irrealistica per le università.

Altri sono più ottimisti. Fabrizio D'Adda di Fagagna, dirigente di ricerca presso il Centro Nazionale delle Ricerche di Pavia, ritiene che sarebbe prematuro considerare i PE un'opportunità sprecata, e prevede vera concorrenza almeno nel suo campo, lo studio dell'invecchiamento. Concorda sul fatto che la gestione dei consorzi è stata politica e verticistica, ma vede un vero intento di far crescere il Sud Italia e di aumentare le opportunità per le donne. "Ciò che preoccupa davvero è il fatto che si debbano ottenere risultati entro 3 anni, quando i progetti di ricerca di base richiedono almeno 5 anni", afferma, "e che c'è poca chiarezza sul meccanismo di valutazione"

L'ufficio comunicazione del MUR ha scritto a Nature Italy che le proposte saranno valutate da revisori internazionali individuati dal Comitato Nazionale per la Valutazione della Ricerca (CNVR), recentemente istituito, utilizzando liste predisposte dalla Commissione Europea. E ritiene che l'arco temporale di tre anni sia idoneo a consentire la realizzazione di proposte valide e ad alto impatto innovativo.

Il problema di garantire meritocrazia e trasparenza rimarrà anche dopo la selezione delle proposte vincenti. Una quota tra il 10% e il 50% dei fondi sarà utilizzato per bandi a cascata, di fatto rendendo gli spokes di ogni PE delle mini-agenzie di finanziamento. Alcuni temono che i fondi vengano distribuiti a pioggia per ragioni politiche e pratiche, o che prevalga il nepotismo. "Non è la nostra linea d'azione preferita, perché crediamo nella selezione dal basso e nel finanziamento della ricerca eccellente", afferma Francesco Pasqualini, vicepresidente di ERC in Italy, un'associazione no-profit di assegnatari ERC che promuove la ricerca fondamentale in Italia. "Ma riconosciamo che può fornire risorse a gruppi di ricerca che sono rimasti indietro".Secondo Pasqualini, spetterà alla comunità trarre il meglio da questa opportunità. "Se il nostro sistema di ricerca non sarà migliorato dopo la fine del PNRR, sarà stata anche colpa di noi ricercatori.”