Read in English

Fiori di rododendro con sullo sfondo il Sass De Putia e il Passo Delle Erbe sulle Dolomiti. Credit: Roberto Moiola / Sysaworld/ Moment/ Getty Images.

Percorrendo decine di migliaia di chilometri in montagna, i botanici Filippo Prosser e Alessio Bertolli, della Fondazione Museo Civico di Rovereto, hanno raccolto più di un milione di campioni di quasi 1.500 specie vegetali nelle Alpi della provincia di Trento, tra il 1990 e il 2019. Poi due ecologi dell'Università di Padova, Costanza Geppert e Lorenzo Marini, hanno analizzato i dati per capire come diversi gruppi di specie reagiscono al riscaldamento globale e all'intensificazione dell'uso del suolo.

"Grazie alle eccezionali dimensioni e all'arco temporale di questo set di dati, siamo stati in grado, per la prima volta, di osservare ciò che accade su un'ampia gamma di altitudini e di confrontare le specie rare con quelle comuni e aliene", afferma Marini, autore principale di un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences1. Sulle Alpi, in particolare sul versante italiano nord-orientale che si affaccia verso sud, le temperature medie annue stanno aumentando più rapidamente che in altre regioni. "Quasi due gradi negli ultimi 30 anni, è una cosa enorme", spiega Marini.

Gli scienziati hanno suddiviso le osservazioni in due periodi, dal 1990 al 2005 e dal 2005 al 2019. Per ogni periodo, hanno stimato la probabilità di trovare ogni specie a diverse altitudini e hanno identificato i loro margini caldi e freddi, rispettivamente le altitudini al di sotto e al di sopra delle quali la probabilità di trovare una specie è del 10% o meno. Poi hanno osservato quanto questi margini si fossero spostati da un periodo all'altro e hanno fatto una media tra le specie dividendole in tre gruppi: specie native comuni (quasi 1.300, tra cui Trifolium repens), specie native rare (quasi 100 specie, tra cui Adonis aestivalis) e specie aliene (quasi 50 specie, tra cui Sorghum halepense). Per piante rare si intende quelle classificate come minacciate o in pericolo, secondo la lista dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.

Per le specie native comuni, i margini freddi e caldi si sono spostati verso l'alto rispettivamente di circa due e tre metri all'anno. L'intervallo di altitudine delle specie rare si è ridotto più di quello delle specie comuni, con il margine freddo rimasto quasi invariato e quello caldo spostato verso l'alto di circa quattro metri all'anno. Le specie aliene sono le uniche ad aver espanso il loro areale, con il margine caldo sostanzialmente invariato e quello freddo spostato verso l'alto di quattro metri all'anno.

Per capire perché le specie rare e quelle aliene si comportano in modo così diverso, gli scienziati hanno classificato le specie in base alla loro strategia di adattamento. Le piante aliene presenti nel set di dati sono più frequentemente classificate come competitrici, che crescono velocemente e destinano la maggior parte delle risorse alla crescita delle foglie, e prosperano in condizioni di elevate risorse create dall'espansione dei terreni agricoli verso l'alto. La maggior parte delle specie rare appartiene invece alle specie ruderali, che dedicano la maggior parte dell'energia alla produzione di semi e sono meno in grado di competere per le risorse.

Gli scienziati hanno anche scoperto che gli hotspot di specie rare e aliene si sovrappongono in larga misura e sono raggruppate in aree altamente urbanizzate e a bassa quota. Tuttavia, la maggior parte delle aree protette si trova attualmente ad alta quota, dove l'impatto dello sviluppo economico è minore, per cui Geppert e Marini suggeriscono che sarebbero necessari altri interventi di conservazione per proteggere un maggior numero di specie. Tali misure includono il ritorno alle pratiche agricole tradizionali o il ripristino di prati seminaturali. "Dobbiamo agire, altrimenti alcune specie potrebbero scomparire per sempre da quei territori entro 10 o 15 anni", conclude Marini.

"Il genere di meticoloso lavoro sul campo svolto dai due botanici coinvolti nello studio non porta spesso a pubblicazioni scientifiche", afferma Juri Nascimbene, botanico dell'Università di Bologna, che non è coinvolto nello studio. "Ma i dati che hanno raccolto sono essenziali per comprendere l'impatto del riscaldamento globale e della pressione antropica sulla biodiversità".